La Prefazione del traduttore John Woodsworth - russo/inglese

Quando aprii il mio bollettino online sulle lingue Slave un giorno di settembre del 2004, e sentii di un libro nella serie Ringing Cedars (i Cedri Sonori) che cercava un traduttore inglese, non mi sarei mai immaginato quale avventura letteraria mi avrebbe aspettato. Più mi familiarizzavo con i dettagli degli affascinanti lavori di Vladimir Megre (lessi i primi tre libri della serie prima di iniziare la traduzione), più capivo che gran parte della mia passata esperienza come traduttore, specialmente con la poesia (da Pushkin ad Anna Akhmatova a bardi moderni) e con la prosa poetica (come le storie dello scrittore Russo contemporaneo Mikhail Sadovsky), per non parlare della mia credenza religiosa (che enfatizza lo stato peculiare dell’Uomo come ritratto del Creatore), mi stava preparando appositamente per questo specifico compito. I lavori di Megre sembravano essere semplicemente il prossimo logico passo per la progressione della mia carriera. Per questi motivi, mi sono ritrovato ad approcciare la traduzione non solo con l’entusiasmo derivato dal prospetto di affrontare una nuova sfida professionale, ma pure con la sensazione di essere in un ambiente letterario familiare.

Alcuni dei miei amici e colleghi mi hanno chiesto: “Che tipo di libro stai traducendo?” – sicuramente per sapere se si sarebbero dovuti aspettare di leggere un romanzo, un documentario, un’ispiratrice esegesi sul significato della vita, o persino un canzoniere.

Pur avendo finito la traduzione di Anastasia, ancora non avevo una risposta definitiva da dargli. Difatti, pure io mi chiedo ancora la stessa domanda.

La mia risposta iniziale era un greggio riassunto di un’istintiva impressione – dicevo spesso: “Immaginati un mix tra Star Trek e la Bibbia.” I miei sentimenti per il libro, però, vanno molto oltre a questo primitivo tentativo di arguzia. Dei quattro generi menzionati, direi che Anastasia possiede elementi di tutti e quattro, e molti più.

In primis – il libro è scritto come un romanzo. Ovvero, racconta di una storia in prima persona in maniera divertente, rendendo apparente il carattere multiforme di sia l’autore che il protagonista in maniera non differente da quel che i lettori di romanzi si possono aspettare. Parla di un’avventura nella selvaggia natura della Siberia dove persino sesso e violenza appaiono occasionalmente, ma con una connessione alla trama che non ho mai visto prima in nessun’altra opera immaginaria.

In secundis – il libro dà l’impressione di un documentario di eventi accaduti realmente, anche se lo scetticismo di alcuni lettori potrebbe occasionalmente far venire dubbi. Sono lieto che la mia esperienza linguistica mi abbia dato accesso non solo al libro stesso, ma anche a una grande varietà di testi in lingua Russa su internet che mi hanno aiutato a corroborare da fonti indipendenti molte delle specifiche che l’autore ha voluto includere nella narrativa (nomi di individui, istituzioni, fenomeni scientifici ecc.) – le quali si rivelarono essere tutte autentiche, contribuendo alla credibilità di tutto quello che potrebbe sembrare fantasia. Ho cercato di trasmettere al lettore molte delle informazioni corroborative tramite le note, con l’aiuto dei commenti aggiuntivi del redattore. Detto questo c’è comunque una gran parte di ciò che viene descritto dall’autore la cui autenticità va giudicata dal lettore stesso (che secondo me è un tratto distintivo di un’opera di letteratura, diversamente da una relazione accademica o giornalistica).

In tertiis, il libro penetra il pensiero e i sentimenti con la delicata forza di un trattato ispirato dal divino – un trattato non solo sul significato della vita umana, ma molto più. Anastasia offre una nuova formidabile intuizione sull’interrelazione tra Dio, l’Uomo, la Natura e l’Universo. Mi azzarderei persino a chiamarla una rivelazione scientifica e religiosa.

Una descrizione ‘per farla breve’ che mi viene in mente sarebbe una cronaca di idee – idee su (a) la storia della relazione dell’umanità con tutto ciò estraneo a sé, (b) le nuvole (non solamente quelle tempestose e inquietanti ma pure quelle soffici e attrattive) di credenze sbagliate che, con gli anni, hanno nascosto questa relazione dalla nostra vista e comprensione e (c) dove iniziare – una volta che siamo riusciti a intravedere questa relazione – il viaggio necessario per ritrovare l’immagine completa. Profondamente metafisica in essenza, la cronaca è scritta sia con le prove oggettive di un documentario che con la capacità di intrattenere di un romanzo. In altre parole, si può leggere come ognuno di questi tre individualmente, ma solo unendo le tre dimensioni si avrà un’idea completa del libro. Tutti e tre sono infusi con un certo livello di genuina ispirazione che può venire espressa solo in poesia.

Non si deve trascurare la poesia. Difatti, ho imparato subito che l’esperienza in traduzione di poesie era una delle qualificazioni necessarie per i traduttori dei libri I Cedri Sonori, e non solo per i sette poemetti dei lettori alla fine del Trentesimo Capitolo. Gran parte della prosa nel libro (soprattutto quando parla Anastasia) emana un sentimento poetico, con rima e metrica per avvolte interi paragrafi; questo crea una grande sfida nel riprodurre questa qualità poetica, e allo stesso tempo mantenere il senso semantico, nella traduzione Inglese. Questa prosa poetica è ancora più evidente nei libri successivi.

Un’altra sfida è stata imitare, il più similmente possibile, lo sviluppo come scrittore di Vladimir Megre. Secondo la sua stessa confessione, Megre iniziò quest’intero progetto letterario non come uno scrittore, ma come un incallito imprenditore con la mente il più lontano possibile dall’idea di scrivere un libro. Sorrisi quando durante il processo di correzione della traduzione, un lettore, che aveva letto i primi capitoli, descrisse lo stile dell’autore come “sconnesso”. Megre stesso parla di come editore dopo editore rifiutò i suoi libri, descrivendo sempre il suo linguaggio come troppo “rigido”. Eppure verso la fine del primo libro si nota come il suo modo di riportare le parole di Anastasia diventa piuttosto lirico – specialmente nei passaggi poetici già descritti. Lo sviluppo dello stile letterario dell’autore (che lui attribuisce alla guida diretta e indiretta di Anastasia) diventa sempre più pronunciato con l’avanzamento della serie. Toccherà al lettore Inglese decidere se questa trasformazione è trasmessa anche nella traduzione.

Ci sono due parole Russe, usate spesso nel libro, che presentano una particolare sfida di traduzione. Una di queste è dachniki (plurale di dachnik), un termine che si riferisce ai proprietari delle dacie, o cottage di campagna, situato su solamente 600 metri quadrati di terreno ottenibile gratuitamente dal governo Russo. Ma c’è poca somiglianza al concetto occidentale di cottager (proprietario di un cottage). Le dacie russe si possono trovare in foreste, o su terreni agricoli, ma una caratteristica invariabile rimane sempre un appezzamento (uchastok) destinato alla crescita di frutta e verdura per approvvigionare la famiglia non solo durante il loro soggiorno nella dacia, ma per l’intero anno. Dato che la parola dacia è già conosciuta da molti nel mondo anglofono (ed è inclusa in famose edizioni sia di Oxford che di Webster), fu deciso di utilizzare il termine Russo anche per i suoi abitanti, con la desinenza plurale Inglese: dachniks.

La questione che comportò il più grande ostacolo, però – che fu soggetto di dozzine di e-mail tra redattore e traduttore fino a che non venne risolta – fu trovare un equivalente Inglese per la parola Russa chelovek. Questo è un termine usato per descrivere un essere umano di entrambi i sessi, come il Tedesco Mensch o l’Inglese man nel verso della Bibbia “God created man in His own image” (“Dio creò l’uomo a sua immagine”) (Genesi 1: 27).

Il problema con il termine human (con senso di human being, essere umano) è che non solo implica che la specie derivi dalla materia, o il terreno (da: humus – la componente organica del suolo), ma è anche associato con concetti umili (da humus derivano parole come humble, humility ecc., umile, umiltà); oltre a questo, la parola human è essenzialmente un aggettivo, non un sostantivo, anche se comunemente usato come tale nell’Inglese odierno.

D’altra parte, chelovek deriva da due parole del Russo Antico che significano ‘mente’ o ‘pensare’ (chelo < lob) ed ‘eternità’ o ‘tempo’ (vek). La parola Inglese man ha una derivazione molto simile, in questo caso dalla radice Protoindoeuropea men-, che significa ‘mente’, ‘pensare’ o ‘intelligenza’ (cfr. la parola contemporanea Inglese mental, mentale o psichico). Non fu approssimativamente fino all’undicesimo secolo D.C. che la parola man nelle lingue Germaniche perse un senso generale per denotare principalmente un adulto maschio; alla fine del tredicesimo secolo aveva quasi rimpiazzato completamente il precedente termine per ‘maschio’ – wer (cfr. il Latino vir, presente in alcune parole moderne come virile).

Sulla base di ciò che dice Anastasia come presentato dall’autore in tutti i libri, si potrebbe interpretare che la costrizione del pensiero umano si rifletta pure sul restringimento del significato di man, che originariamente – come il Russo chelovek e il Tedesco Mensch ancora oggi – rappresentava l’intera umanità, sia uomini che donne, come esseri pensanti e intelligenti.

Ad un certo punto, rendendoci conto che alcuni lettori si sarebbero opposti a utilizzare man (dato che, oggigiorno, esclude metà di tutti gli esseri pensanti e senzienti sul pianeta), contemplammo usare la parola chelovek in translitterazione per quest’utilizzo. Tuttavia, decidemmo che questa non sarebbe stata la migliore alternativa perché (a) molti lettori si sentirebbero esclusi dall’essere descritti con una parola straniera che appare così frequentemente in tutti i libri (quasi una volta per pagina, in media) e per (b) dare l’opportunità di riscoprire il significato originale di una parola Inglese il cui utilizzo è stato corrotto per oltre dieci secoli.

Curiosamente, dall’undicesimo al diciannovesimo secolo in Russia la parola chelovek subì la stessa sorte della parola Inglese man – con il suo utilizzo ristretto solo a designare esseri umani maschi (spesso servitori maschi o schiavi in particolare). Solamente nel ventesimo secolo l’originale significato universale ritornò, per così dire, tra la popolazione per riferirsi – nella maggior parte dei contesti, almeno – sia a uomini che a donne. Questo dà speranza che un giorno anche il significato originario della parola man si reintegri nella lingua Inglese.

Perciò fu deciso di tradurre chelovek, se in un appropriato contesto, con il termine Man con la M maiuscola, non solo per conservare l’associazione del termine a un’origine divina (al contrario di una materiale, terrestre), ma pure per attingere all’originale, incorrotto significato della parola man come manifestazione di ‘Mente eterna’ – dall’etimologia del termine Russo chelovek. Detto questo, voglio che tutti i lettori di questo libro siano consapevoli che: quando vedete Man con la M maiuscola, questo comprende voi.

Ci sono altre discrepanze tra concetti Russi e Inglesi dietro ai rispettivi equivalenti di traduzione, ma è meglio lasciare la loro spiegazione a delle note individuali.

In conclusione, devo esprimere la mia gratitudine verso il mio redattore, Leonid Sharashkin, innanzitutto, per avermi affidato il privilegiato compito di tradurre dei colossali lavori come la serie dei Cedri Sonori, e poi, per lo straordinario supporto da lui ricevuto durante quest’iniziale progetto, ossia, aver illuminato aspetti dei concetti di Dio, l’Uomo, la Natura e l’Universo di Vladimir Megre – e di Anastasia – che le mie passate esperienze con la letteratura Russa non mi avrebbero mai preparato ad affrontare. Queste intuizioni condivise hanno fatto la differenza su come alcune sfumature dell’originale sono presentate nella traduzione, e particolarmente su come descrivere alcuni argomenti nonostante le notevoli distanze geografiche, sociali e filosofiche che troppo spesso separano i lettori anglofoni dal vasto tesoro culturale accessibile a coloro con conoscenza della lingua Russa.

Ora vi invito tutti a prendere posto nel familiare veicolo d’esplorazione conosciuto come la lingua Inglese, viaggiando insieme per esaminare un tesoro Russo in precedenza inaccessibile di epocale valore per l’intera umanità (compreso il pianeta che collettivamente abitiamo) – un’esperienza riassunta in una singola meravigliosa parola: Anastasia.

 

John Woodsworth - traduttore dal russo all'inglese